Il progetto nasce con la volontà di raccontare per immagini fotografiche “una giornata di vita attraverso delle finestre aperte sul mondo che mi circonda”.
La chiave di lettura con cui ho affrontato l’argomento è stata la street photography, la fotografia di strada. Il grosso problema che si pone in questi casi è la privacy dei soggetti inquadrati.
Già da ragazzo avevo affrontato questo argomento senza grossi problemi di privacy ma, allora, la sensibilità comune sull’argomento era nettamente marginale rispetto a quella odierna. Scartata quindi, per ovvi motivi pratici, l’ipotesi di chiedere la liberatoria ad ogni soggetto che capitasse nell’inquadratura, ho dovuto trovare una soluzione che mi consentisse di non intaccare la sensibilità di chi capitasse nelle riprese.
Mentre provavo a immaginare come realizzare questo nuovo progetto, mi sono ritornati in mente gli anni della scuola media in cui l’insegnante di educazione artistica presentava la storia della pittura; erano lezioni semplici, indirizzate a ragazzini di dodici/tredici anni e ricordo che, tra l’altro, illustrava i diversi stili pittorici. Tra questi lo stile che, anche in età adulta, mi aveva attratto con un maggiore vigore era quello impressionista. Il termine impressionismo immediatamente riconduce alla mente i dipinti di Monet, Renoir, Degas; artisti che interpretarono l’arte dell’impressionismo di metà Ottocento in maniera sublime facendo apparire le loro tele come vere e proprie opere emozionali.
Dai delicati tratti di pennello e dalle piccole macchie di luce rappresentate nelle tele dei maestri, all’idea di poter realizzare qualcosa di simile ma con la fotocamera il passo è stato brevissimo. Se fossi riuscito ad ottenere qualcosa di simile alle pennellate impressioniste, le persone inquadrate non sarebbero state riconoscibili e avrei avuto la possibilità di fare street photography tutelando la privacy degli individui ripresi.
Avvertivo la sensazione che il progetto stava per prendere forma ma ancora non avevo ben chiaro il modo in cui l’avrei realizzato. Claude Monet diceva: “Sono costretto a continue trasformazioni perché tutto cresce e rinverdisce. A forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare”. Partendo da questa affermazione ho immaginato che la fotocamera potesse essere il mio pennello con il quale creare immagini dal vago aspetto pittorico-impressionista.
Un punto fermo del progetto è stato l’utilizzo esclusivo della mia chiave stilistica preminente nella fotografia: il bianco e nero. Per arrivare al risultato prefissato sono giunto alla conclusione di poter far ricorso al movimento intenzionale della fotocamera che, però, avrebbe condotto sicuramente a risultati poco prevedibili. La tecnica del movimento della fotocamera negli scatti, associata all’utilizzo del bianco e nero, potevano essere la base per la comunicazione delle sensazioni generate dalle luci e dalle ombre.
Un altro punto fermo del progetto è stato quello di provare a cogliere il “momento decisivo” della scena ricorrendo alla post produzione unicamente per la regolazione dei toni e qualche regolazione dell’inquadratura causata dalle difficoltà intrinseche della tecnica di ripresa.
Ho intrapreso così la sperimentazione con una serie di scatti di prova. Nel corso dei test mi sono reso conto che il percorso intrapreso era equiparabile ad una vera e propria forma creativa libera dai vincoli delle regole della fotografia tradizionale capace di suscitare sensazioni ed emozioni. Erano queste le stesse motivazioni dei grandi maestri della pittura impressionista che, violando le regole nella seconda parte del XIX secolo, avevano aperto nuove strade all’espressione artistica?
Osservando gli scatti di prova mi sono reso conto che il movimento della fotocamera durante l’esposizione esaltava i bordi del soggetto ed era dunque fondamentale che questo fosse scelto con attenzione. Avevo dunque trovato il linguaggio da utilizzare per la realizzazione del mio progetto!
Per oltre un anno, con ogni condizione meteorologica, ho vissuto in simbiosi con i miei strumenti fotografici per scorgere i soggetti che ritenevo idonei. Ho realizzato oltre 2700 scatti, dei quali ne ho selezionati circa 400 I risultati, che è possibile osservare nelle fotografie che costituiscono il progetto, sono non solo frutto dalla mia capacità di previsualizzare il risultato ma anche legati ad una buona dose di fortuna.
La realizzazione del progetto è stata un esercizio liberatorio: all’improvviso non avevo più regole da rispettare ma solo occasioni per nuove scoperte e tutto questo mi ha obbligato ad osservare con maggiore analisi il mondo che mi circondava. È stato, per certi aspetti, anche un cammino di introspezione e scoperta personale.