03 Mag I due scudetti del Napoli di Maradona, La mia cronaca
Napoli, è sogno e miracoli, è profumo di caffè e sangue che si scioglie è un luogo dove i sogni e i miracoli si avverano.
Napoli, spiegava lo scrittore Maurizio De Giovanni, è un marchio, non un luogo. Un’identità dal confine mobile, dalle mura di gomma, che ti segue ovunque, che con te si sposta e non ti abbandona. Napoli è sogno e miracoli, è profumo di caffè e sangue che si scioglie.
Il primo scudetto del Napoli 1987
Ore 17:47 del 10 maggio 1987: un momento che entra prepotentemente a far parte dei sogni e dei miracoli che, come quello di S. Gennaro, si avverano!
E’ Il momento in cui Pierluigi Pairetto, – classe ’52, arbitro di calcio, porta il fischietto alla bocca e fischia tre volte. Un momento storico per il Napoli, per Napoli e per i Napoletani: è il momento in cui viene certificato che la squadra azzurra, trascinata da un argentino venuto da Barcellona, è Campione d’Italia, vince il suo primo Scudetto.
E’ un caldo pomeriggio quello del 10 maggio 1987, uno di quei pomeriggi in cui ti viene voglia di spegnere tutto, scendere in spiaggia, goderti il primo assaggio d’estate.
Ma…, anche se è un caldo pomeriggio di maggio, non è decisamente un pomeriggio come tutti gli altri. E’ il pomeriggio che la Storia ha già segnato come un pomeriggio speciale, da ricordare. Un pomeriggio di cui tutti, anche a distanza di anni, si ricorderanno.
In quel caldo pomeriggio dell’87, in ogni casa napoletana si respira un’aria di attesa gioiosa, come se non fosse un caldo pomeriggio, come se non fosse un anticipo d’estate.
Quel Napoli è un miracolo. E’ la squadra che ha osato sfidare le grandi squadre del nord. E’ la squadra di Ottavio Bianchi, che ha messo insieme un ingranaggio in cui ogni dente ingrana nel modo giusto: Bagni, Bruscolotti, Giordano, Carnevale, Di Napoli …. una squadra legata visceralmente al suo popolo. Una squadra che quando scende in campo non è mai sola, perché gioca sostenuta dai 90.000 del San Paolo e da tutti i napoletani.
E poi c’è Lui. Il vero, indiscutibile, imprescindibile protagonista di quello scudetto: Diego Armando Maradona.
Si sa il calcio è un gioco di squadra, ma il Napoli del 1987 è la dimostrazione che forse un uomo può vincere uno Scudetto da solo, se si chiama Diego Armando Maradona.
Maradona è l’uomo che accende i motori e fa decollare il Ciuccio. E’ la fantasia al potere. E’ l’uomo che scalda i cuori della gente. Diventa un Dio in terra e i napoletani in suo onore e per ricordare il numero sulla sua maglietta inventano il D10S.
Diego si carica la squadra sulle spalle fino al fatidico 10 maggio 1987 quando al San Paolo si gioca Napoli-Fiorentina.
Carnevale porta in vantaggio il Napoli alla mezzora, dopo 10 minuti un ragazzino talentuoso che risponde al nome di Roberto Baggio pareggia i conti. Ma ognuna delle 90.000 radioline del San Paolo e quelle della città tutta sono amiche: annunciano che l’Inter sta perdendo a Bergamo, che la Juventus sta pareggiando a Verona. Se restasse tutto così, il Napoli sarebbe Campione. E resta tutto così. Fino alle 17.47. Il momento in cui fischietto dell’arbitro risuona per tre volte.
Sono i tre fischi più belli che un tifoso del Napoli abbia mai sentito. Sono i tre fischi che decretano il primo scudetto della storia del Napoli. Sono i tre fischi che mandano in delirio una città, un popolo. Sarà Carnevale, Natale e Pasqua tutto insieme. Sarà la festa più bella che la città abbia mai provato. Perché niente, nel cuore di chi lo ha vissuto, potrà mai eguagliare la festa di quel giorno, la festa del 10 maggio 1987. La festa del primo Scudetto napoletano.
Ero già in strada già da un po’ di tempo, in una città deserta come mai. Giunsi alla Stazione Centrale delle FS in Piazza Garibaldi a metà del primo tempo della partita e qui ebbi un primo assaggio di cosa stava accadendo: Sui maxi schermi, normalmente usati per la pubblicità, la Rai trasmetteva la diretta della partita del S. Paolo. Una marea umana osservava la partita occupando in ogni angolo, ogni punto della stazione da cui era possibile guardare la partita. Dalla Stazione proseguii verso C.so Umberto. Ancora oggi ricordo distintamente il silenzio irreale di tanto in tanto interrotto da qualche urlo, proveniente dalle finestre aperte delle abitazioni. Dai bassi di Spaccanapoli e Forcella si intravedevano famiglie intere appiccicate alle TV e alle radioline che trasmettono la radiocronaca della partita. Una famiglia mi vide e mi fece segno di entrare per condividere con loro quei momenti come se fossimo dei vecchi amici. Il tempo di qualche istantanea, un caffè e proseguii il mio cammino in una città deserta. In una Piazzetta dei quartieri spagnoli, normalmente super affollata ma per l’occasione occupata da un gruppo di ragazzini intenti a giocare a pallone mentre una radiolina poggiata su a terra trasmetteva la partita. A Forcella in uno slargo altri ragazzini giocavano su un palchetto che, di lì a poco, avrebbe ospitato cantanti e ballerine.
Capisco che il Napoli è Campione d’Italia dal boato. Un scoppio di urla che, partendo da ogni vicolo, da ogni angolo, da ogni porta, da ogni finestra avvolge copre l’intera città.
Mi recai subito a Piazza del Plebiscito e nella vicina Via Roma prevedendo che questi sarebbero stati i punti di ritrovo dei napoletani. Non mi sbagliai. Fu immediatamente chiaro che le diverse napoletanità, che spesso non dialogano tra loro erano in piazza insieme per una sola festa. Una festa che coinvolse perfino il cimitero dove campeggiava uno striscione trionfo di umorismo nero: “E che vi siete persi”.
La festa di e per il “D10S”, per l’eroe venuto a sollevare una città contro l’altra Italia, quella dei potenti e dei milioni, della Juventus, dell’Inter, del Milan di cui si celebrano deridenti funerali per la città. Il “D10S”, il santo laico di una sacra liturgia domenicale racchiuse il senso di un’alchimia collettiva, di uno spirito di rivalsa, di un affetto anche eccessivo, che nel calcio cerca un mondo nel quale valga la pena di trovare un posto.
Tutta Napoli si tinteggiò d’azzurro, a 120 metri d’altezza una bandiera sventolò a lungo anche sull’altoforno numero 4 dell’Italsider a Bagnoli.
Il Secondo scudetto del Napoli 1990
Il 29 Aprile 1990, tre anni dopo il primo scudetto il Corriere dello Sport – Stadio per celebrare il secondo scudetto del Napoli titolava la prima pagina con un titolo che era la sintesi dello stato d’animo della città: “Pazzi di Gioia”.
Grande protagonista del trionfo fu ovviamente Diego Armando Maradona, che dopo esser stato contestato dai tifosi, si dimostrò indispensabile affermando il suo talento; in quel campionato infatti realizzò 16 gol regalando il secondo scudetto dopo aver conquistato la Coppa Italia (1986-87) e la Coppa Uefa (1988-89). Di lì a pochi mesi, nel settembre del 1990, sarebbe arrivata poi anche la Supercoppa Italiana con una indimenticabile goleada alla Juventus al San Paolo: 5-1.
Questa volta però il Milan di Berlusconi aveva conteso lo scudetto a Maradona fino all’ultimo.
A due giornate dal termine Napoli e Milan erano appaiate e l’ipotesi spareggio è forte. Ma il 22 aprile il Napoli piazzò il poker a Bologna, mentre Verona fu ancora fatale per il Milan. Il 29 aprile al San Paolo si presentò la Lazio. Gli azzurri avevano bisogno di un punto, la festa era già preparata, la partita venne trasmessa anche in diretta tv in Campania per evitare assembramenti.
Al 7’ Marco Baroni segna con un bel colpo di testa, la partita finisce 1-0
Il Napoli è Campione d’Italia, per la seconda volta.
Così come tre anni prima il popolo napoletano si riversò per strada inondando la città con una festosa marea umana tinta di azzurro e tricolori e la fantasia dei napoletani ebbe libero sfogo negli sfottò su Berlusconi e il suo Milan fino a notte fonda.
In entrambe le occasioni avessero lanciato una monetina, non avrebbe toccato terra.
Fu una forma di contagio meravigliosa, furono feste appassionate, feste che cancellarono i pregiudizi sulla Napoli del caos, dell’entusiasmo balordo, … furono feste di una città intera, mai più così unita.
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